Sono ormai numerosi anni che mi occupo di bambini , sia con disturbo generalizzato dello sviluppo, sia affetti da autismo, sia di bambini “ normo dotati “ .
Tante sono le emozioni contattate , ma soprattutto tante sono le domande che mi pongo. Innanzitutto: come posso aiutare questo bambino? Come riuscire ad interessarlo? Come instaurare una buona relazione? E i genitori? Come contenere le loro ansie ?
Ritengo che sia necessario andare oltre la difficoltà o problematica specifica che spesso sembra essere in primo piano ( “ la figura “ ) per far poi emergere lo sfondo del bambino che è naturalmente intriso di creatività ed unicità.
Penso che la meraviglia della creatività, spontaneità e trasparenza siano gli elementi basilari nella relazione con i bambini, ed è di fondamentale importanza risvegliare il contatto con le emozioni e riscoprire la gioia e la magia del gioco, proprio come quando si è bambini e tutto è sempre nuova scoperta e stupore.
Ho imparato che nella terapia con i bambini, il filo conduttore è offrire la possibilità di fare esperienze che lo portino a se stesso, che rinnovino e rafforzino la sua consapevolezza dei sensi primordiali attraverso cui da neonato ha scoperto la vita e che gli servono per crescere : la vista, l’udito, il tatto, il gusto e l’olfatto.
Il bambino si sviluppa attraverso l’esperire e la consapevolezza è così strettamente legata al fare esperienza che non c’è l’una senza l’altra e il modello della Oaklander è in grado di spiegare al meglio e in maniera molto chiara tutto ciò.
Il lavoro della Oaklander ha inoltre il vantaggio di essere estremamente pratico, offre molti spunti tecnici e risposte esaudienti alla classica domanda del “ cosa far fare “ ad un bambino in psicoterapia.
Con il tempo mi sono resa conto che questo modello mi era particolarmente congeniale.
Tuttavia, nonostante le tecniche descritte dalla Oaklander nel suo testo “ Windows to our children “ , e che sono state per me fonte di ispirazione nel mio lavoro, siano varie, numerose e senza dubbio stimolanti, la moderna Terapia del Gioco si riconosce oggi in un unico fondamento teorico portante che risiede nel riconoscere alla relazione terapeuta- bambino, che si stabilisce grazie e attraverso il gioco, il fattore terapeutico più importante.
Ed in tale concezione, pertanto, non è il gioco o il semplice far giocare il bambino in terapia, il fattore terapeutico essenziale. Il gioco ha e rivela un potere terapeutico solo nella misura in cui esso appare essere uno strumento che, utilizzato in un certo e specifico modo all’interno di una relazione terapeutica, è in grado di lavorare efficacemente all’interno della terapia del bambino, contribuendo a migliorarne alcune aree specifiche del suo funzionamento.
L’uso del gioco all’interno della terapia del bambino non è certamente cosa nuova; spetta infatti ad Anna Freud e Melanie Klein il merito di aver posto le premesse per introdurre e favorire, all’interno della psicoterapia del bambino, l’uso del gioco a scopo clinico. Ad ogni modo è presente oggi un’idea comune, a cui molti psicoterapeuti si ispirano, che assegna al gioco infantile spontaneo il valore di un mezzo o di uno strumento, attraverso il quale il bambino esplora la sua realtà interna, contatta e comunica l’esperienza inconscia, i suoi bisogni rimossi, repressi o negati, i suoi pensieri più segreti, le sue emozioni più profonde.
La psicoterapia gestaltica infantile ha introdotto, grazie al lavoro della Oaklander, tutta quella serie di esperienze ludiche ed espressive che trovano nei sensi, nel corpo e nel movimento un mezzo assolutamente fondamentale per lo sviluppo ed il potenziamento della competenza al contatto; ella ha ridato al gioco simbolico un nuovo e più importante statuto, ha recuperato inoltre il prezioso lavoro svolto da Dora Kalff, con lo sviluppo della sua “ Sand Play Therapy “ .
Sebbene in un’ottica gestaltica infantile, non esista nessuna superiorità o centralità della dimensione emotiva rispetto ad altri livelli dell’esperienza, ritengo che attraverso che attraverso la psicoterapia i bambini possano essere aiutati a parlare delle loro emozioni; devono sapere che ci sono tante emozioni: felicità, tristezza, orgoglio, rabbia, paura, ansia, che tutti le provano; che le emozioni si possono esternare, condividere, discutere. I bambini devono avere la possibilità di scegliere il modo in cui esprimerle, ad esempio attraverso l’utilizzo del disegno, dei colori o di materiali come la plastilina, l’argilla o attraverso i pupazzi; ma già la loro postura del corpo o il modo in cui respirano ci manifestano ciò che provano.
Bisogna inoltre sempre tenere conto dell’enorme importanza che riveste anche il lavoro con i genitori nella psicoterapia infantile, ed è solo creando una solida alleanza con loro che la psicoterapia darà poi successivamente i suoi frutti.
I più frequenti disturbi o problematiche che possono portare un bambino in psicoterapia sono: l’aggressività, l’iperattività, i disturbi dell’apprendimento o del comportamento.
Il lavoro terapeutico, che si svolge attraverso attività o mezzi espressivi quali il disegno, il gioco, il lavoro con l’argilla, è focalizzato più che altro sull’aumento dei livelli di consapevolezza; ogni elemento che il bambino introduce nel gioco o nel disegno viene trattato come “ parte di sé “ , che può essere poi esplorata, discriminata ed integrata. Il lavoro del terapeuta si svolge quindi soprattutto sul versante del continuum di consapevolezza che può essere immaginato come un cerchio dove ad esempio, attraverso l’utilizzo della sabbia, si parte dall’immaginare un ipotetico scenario con quello che si ha a disposizione, lo si fai poi creare, lo si fa descrivere e alla fine si fa scegliere una parte nella quale identificarsi completamente.
Sebbene esista una certa parte della Gestalt che tende ad enfatizzare il ruolo delle tecniche, come sostenuto dalla stessa Oaklander, il processo psicoterapeutico sembra funzionare al meglio solo grazie alla relazione e ad un’alleanza di lavoro che si stabilisce tra bambino e terapeuta; di conseguenza molto prima che si possa utilizzare una tecnica, nella terapia del bambino c’è una specifica sequenzialità da rispettare: nessuna tecnica sia essa di amplificazione, espressiva, proiettiva o di altro genere, può essere utilizzata senza che si sia creata in precedenza una buona relazione e una salda alleanza di lavoro e in forme e modi che siano assolutamente rispettosi e che diano il giusto peso e dignità all’unicità di ogni singolo bambino.